LETTERA della teologa Antonietta Potente alla poeta Delfina Lusiardi e al gruppo delle filosofe di Diotima.
Torino 3 marzo 2020
Antonietta Potente (fotografia di Ilaria Maestri) |
Torino 3 marzo 2020
Carissime.
Faccio eco all’invito di Delfina e
scrivo anche a tutte voi ch’avete intelletto d’amore come direbbe il
sommo Poeta.
Questi giorni stanno diventando molto
lunghi; la mia vita è cambiata solo in parte. Sono solo più ferma del solito.
Il tempo mi dà l’idea che si sia dilatato; è divenuto tutto più lento e, se
guardo fuori, tutto più vuoto. Mi accorgo molto di più delle nuvole e del sole;
se il cielo è graffiato dall’apparire della luna nuova o se la brezza avvolge la
citta senza chiederle permesso. Il giardino mi appare più bello di sempre e il
resto è tutto come prima. Le notti sì, loro mi sembrano più intense e abitate;
volti di persone e tracce di cammini percorsi, ma anche ignoti. Le passo in
compagnia di molte persone, tutte scorrono, come in una processione, alcune le
conosco altre meno o addirittura non le ho mai viste. Tutto entra ed esce dal
mio sonno. Non saprei dire se è in sogno o in veglia ma, come dice Pavel
Florenskij “il visibile e l’invisibile sono in contatto…quando i due mondi
si toccano ci diventa contemplabile perfino questo congiungimento”. (cfr. Le
porte regali. Adelphi).
Poi, arriva attraente il giorno; sono
assolutamente sveglia. Questo tempo me lo sento addosso, tanto da diventare per
me come un vestito, che non voglio cambiare. Il tempo mi ha restituito la
memoria: memoria viva e recente come la descriveva Bartolomé de Las
Casas, sfogando la sua indignazione quando scrisse la historia de las Indias.
Sì, il tempo ha soffiato sulla mia
memoria e lei si è svegliata. Così anche il giorno è abitato e anche la mia
preghiera lo evoca e ripeto incessantemente:
Tu trattieni dal sonno i miei occhi,
sono turbato e senza parole.
Ripenso ai giorni passati,
ricordo gli anni lontani.
Un canto nella notte mi ritorna nel
cuore:
rifletto e il mio spirito si va
interrogando. (Sal 77,5-7)
Ripenso … ricordo … un canto mi ritorna
nel cuore, il mio spirito si va interrogando! Eppure, dovrei essere preoccupata
solo per il presente e invece no, la memoria mi interroga. È incalzante,
trascina con sé immagini, numeri, statistiche lette e ascoltati tante volte ma
subito dimenticate. E tutto ora torna; io assisto come al lungo riflusso delle
onde del mare che portano pezzi di storia di popoli sparsi, minoranze etniche,
gente fuggita dalla guerra, schegge di bombe, migranti divenuti scudi umani, chilometri
di strade solcate dai profughi, popolazioni espropriate delle proprie terre per
alimentare il mercato delle multinazionali, popoli condannati a pagare un
debito che non hanno fatto; mari e oceani svuotati della propria biodiversità per
la pesca insensata di un mondo super alimentato. E più mi avvicino più vedo la
realtà del nostro Paese: cultura sempre più diluita, sapere negato,
disoccupazione dilagante, benessere elitario, fuga di cervelli e di cuori
all’estero, razzismo imperante, sanità diventata azienda per il profitto
economico di pochi, ecc. ecc.
Percepisco il dolore di chi si è sentito
toccare da questo stranissimo intruso chiamato “veleno” (virus in latino). Comprendo
che i più vulnerabili abbiano molta paura. È da tutti sentire più paura e
dolore quando la malattia e la morte avvolge le nostre città, le persone a noi
care, ma la mia memoria continua a criticarmi e provoca in me una grande
indignazione. La mia memoria non si ferma, continua a muoversi tra passato e
presente, come l’onda. La domanda è dove eravamo arrivati? Quali inferi abbiamo
toccato e fatto toccare ad altri che negli inferi non ci sarebbero mai voluti stare?
Questo mare di eventi che si amalgamano
insieme, mi raggiunge. Mi sento bagnata dalle epidemie che costantemente
colpiscono l’Africa, le periferie dell’America latina. Mi sento indignata dagli
embarghi gestiti dagli Stati Uniti sull’Iran. Stili di vita falsificati da un
benessere inesistente, strutture politiche e sociali senz’anima e basta
guardare l’Europa: desalmada o desmadrada come ci ricorderebbe
Maria Zambrano. E, guarda caso, di che cosa ci stiamo ammalando? Di mancanza
d’aria; non riusciamo a respirare. Siamo davvero desalmados y desmadrados.
E la mia indignazione potrebbe continuare ancora perché sembra che sia da poco
tempo, da quando il virus ha raggiunto i nostri paesi che abbiamo di nuovo imparato
a contare, perché i morti degli altri non li abbiamo mai contati.
Il dolore del nostro Paese, di tante
famiglie colpite da questo insinuante veleno, lo posso assumere solo in
silenzio. Lo tengo con me restando muta, come ogni morte e dolore. Non credo
che si tratti di un castigo della natura, una ripicca della terra o degli
animali e nemmeno del cielo. Non lo credo, perché chi si intende di ripicche e
castighi sono solo gli uomini. E infatti penso che tutto ciò sia stato
alimentato da quella piccola parte di umanità che vuole comprare tutto, anche
l’universo. Tutto ciò è nato da mani umane, da comportamenti che da tempo critichiamo
ma ci abituiamo a tollerare, perché il problema è sempre lo stesso: non ci
tocca da vicino. Ammettiamolo; ci siamo distratti, perché viviamo in un sistema
che ci offre un habitat dove ciascuno deve pensare solo a se stesso. E ogni
atto politico, ogni scelta sociale e anche religiosa si è imbrigliata nel mito
del sistema: potere, denaro e passione per se stessi e i pochi che ci
interessano.
“Da tempo ogni cosa non era più se
stessa e la vita sembrava essersi trasformata in un immenso tradimento. […] Quale
invisibile nemico aveva intrecciato il suo corpo con quello dell’Europa? Quale
radice si era frammischiata con quella della vita?” Scriveva ancora Maria
Zambrano sull’agonia dell’Europa. Non parlava di un virus, ma di qualcosa di
molto più grave, comunque capace di generare morte, conflitti, ingiustizie e
provocare esiliati e profughi. Tutti gli ideali insieme alle radici
dell’Europa, si sono aggrovigliati attorno al sistema finanziario, quel mondo
che rende asettici e favorisce solo calcoli e dunque debiti e falsi equilibri.
Non mi dilungo più, apro questi miei
confusi pensieri ai vostri. Personalmente intravedo tre vie: quella della
disobbedienza:
… per diserzione dalle bandiere,
per il valore di fronte all’amico,
per il tradimento di segreti obbrobriosi
e l’inosservanza
di tutti gli ordini come scriveva Ingeborg
Bachmann nel 1953, nel suo bellissimo poema dal titolo: “Tutti i giorni”.
Ma anche la via dell’assoluta sobrietà e quella della creativa immaginazione
che per qualcuno potrebbe essere chiamata fede e speranza.
Tutto lo potremmo fare seguendo il
nostro intelletto d’amore.
Un abbraccio a tutte
Antonietta
Antonietta Potente (fotografia di Ilaria Maestri) |